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Via del Corso (Campo Marzio-Colonna-Pigna-Trevi) (da Piazza Venezia a Piazza del Popolo)
Via del Corso si trova sul percorso dell'antica via Flaminia che usciva dalla porta Ratumena [1]. La porta stava sulla parte più alta del “clivus argentarius” (l’antico Vicus Lautumiarum) e da essa usciva la via Flaminia, che cominciava sotto il Campidoglio. In vicinanza del carcere Mamertino, lasciato il Foro, il Clivus Argentarius saliva sulle falde orientali del Campidoglio, ove stava la Porta Ratumena delle mura Serviane. Al di là di queste mura aveva principio la via Flaminia.
La Flaminia, seconda solo alla via Appia, fu aperta dal censore Caio Flaminio, che fu console e morì nella battaglia del Trasimeno, nel 217 a.C. Uscita dalla porta Ratumena, procedeva per una linea retta (Corso) fino al ponte Milvio e volgeva a destra, più prossima al Tevere dell'attuale. La via Flaminia conduceva a Rimini e poi ad Aquileia [2], prolungata dal figlio dello stesso Flaminio.
Dopo il sepolcro di Caius Publicius Bibulus (edile nel 209 a.C.) a destra (Piazza Venezia) e quello attribuito ai Claudi a sinistra [3], la via proseguiva oltre l’arco dedicato a Domiziano (nel medio evo “arcus manus carnae” corrotto in "macel de’ Corvi"), lasciando a sinistra i “saepta Iulia”. Questi ultimi erano stati, una volta, uno spazio rinchiuso per la votazione dei comizi centuriati, che poi Giulio Cesare trasformò in piazza recinta da portici di marmo ed Agrippina ne condusse a termine i portici, dove presero posto dei mercanti, mentre nei grandi spazi liberi si davano dei giuochi.
I “saepta”[4] si estendevano dall’ingresso laterale odierno del Palazzo Venezia fino all’acquedotto Vergine, passando il palazzo Doria e la chiesa di S. Maria in via Lata, dove una tarda leggenda medioevale collocò, nel sotterraneo, la prigione di S. Paolo.
Vicino alla chiesa si trovò nel Medio Evo l’indicazione topografica “diburium” o “deburo” ricordo del “diribitorium”[5] che serviva un tempo per scrutinio dei suffragi.
Qui presso “l’arcus novus” dedicato a Diocleziano (285-305), sempre in quell’epoca, di fronte ai saepta, a destra della Flaminia, si stendevano, per circa 150 metri, dei grandi porticati, in congiunzione con quelli del Traianeo, comprendenti anche degli edifici, come la caserma della prima coorte dei vigili ed il “catabulum” (stazione di vetture pubbliche), ed arrivavano fino alle falde del Quirinale e comprendevano il posteriore “porticus Costantini” ed il sito dell’Apostoleion di Narsete.
Vicino alla chiesa titolare di S. Marcello si trovavano i magazzini e le stalle per i carri dei così detti “catabulenses”, dove il papa S. Marcello (304-309), secondo il liber pontificalis [6], fu condannato da Massenzio (307-312) ad abitare ed a governare gli animali da soma (animalia catabuli).
Ancora sulla Flaminia, prossimo a S. Marcello il “fornix Claudi” arco monumentale dell’acqua Vergine che si allacciava alla lunga serie di archi (residui a via del Nazzareno) che portava l’acqua nelle terme di Agrippa a mezzogiorno del Pantheon.
Subito dopo l’acquedotto, a sinistra, il vasto portico quadrilatero degli Argonauti colla basilica di Nettuno detto anche “Poseidon”, e a destra il “campus Agrippae” cinto da splendidi portici di cui s’ignora la destinazione (portico Vipsanio).
All’estremità settentrionale di queste costruzioni di Agrippa, vi era nel IV sec. un Mitreo frequentatissimo del quale molte delle numerose iscrizioni servirono come materiale di costruzione per S. Silvestro in Capite che Paolo I (757-767) edificò, circa il 760, nella sua propria casa. Il console Nonio Vittore Olimpo costruì il notevole mithraeum e funse da pater patrum nella grotta nella quale continuò nel suo ufficio fino all’ultimo trentennio del IV sec. quando, nel 377, il prefetto urbano Gracco [7], col popolo e con armati, penetrò negli antri mitriaci in Roma e li distrusse.
Campus Agrippae e Porticus Vipsiana [8]- Quella parte del Campo Marzio, opposta a quella in cui Agrippa aveva eretto le terme, il Pantheon ecc., fu detta Campus Agrippae. Al di là della Flaminia, circa l'odierna Piazza Colonna, Agrippa provvide a dare un assetto monumentale anche a quella zona che l'acqua Sallustiana, che non trovava un regolare sfogo verso il Tevere, aveva impantanato. Sollevò, sopra una serpeggiante linea d’archi [9] lo speco dell'acqua Vergine, limite, verso levante, del vasto Campo da lui ridotto a palestra e giardino, dopo aver incondottata l’acqua Sallustiana che, sotterranea, scorre anche oggi. Gli scavi per la costruzione della Galleria Colonna, hanno localizzato il portico da lui innalzato ai margini della Flaminia. Il Porticus, aveva inizio al margine nord del suddetto edificio e si estendeva sotto la via del Tritone e il palazzo della Rinascente, con i suoi grandi pilastri di travertino. Fu dedicato da Augusto nel 7 a.C. , insieme con un altro edificio denominato "Porticus Pallae" dal nome della sorella di Agrippa [10], edificio che doveva rappresentare la prima parte del Porticus Vipsiana. Alcuni ritengono che anche il "Porticus Europae" (da una pittura o da un gruppo di Europa sul toro) sia da riconoscere nello stesso edificio, mentre altri lo identificano in una parte di quei giardini che, coperti da portici, offrivano, fra i "tepida buxeta" e i "laureta" dei viali, ritrovo e diletto.
Gli scavi fecero pure ritrovare un gruppo di insule del I e II secolo dell'Impero con restauri del IV, e, sempre sotto la Galleria, fra questi edifici alcune strade. Queste, condotte a squadro con la via Lata, imboccavano verso il sud il "vicus Caprarius" o "Capralicus" (via dei Lucchesi) in cui sorgeva la "aedicula Capraria".
L'antica via Flaminia, divenne "via del Corso", nel tratto da Piazza Venezia a Piazza del Popolo perché “lo ditto Papa Paulo (Paolo II - 1458-1464) in principio del suo papato, volendo far cosa grata a li Romani, se ne venne ad abitare ad Santo Marco, et ampliò la festa dello Carnevale, et fece che lo lunedì dinanzi allo carnevalare se corresse per li gazzoni (garzoni) un palio et lo martedì li iudei, se ne corresse l’altro lo mercoledì quello dei vecchi; lo jovedì se giva ad Nagoni (Navona); lo venerdì se stava in casa; lo sabato alla caccia; la domenica se ricorrevano li 3 pali consueti; lo lunedì correvano li buffoli (bufali) et lo martedì li asini, et di queste cose lui si pigliava piacere”. Le corse dei barberi [11], che si correvano più tardi da Piazza del Popolo [12] fino a via della Ripresa dei Barberi (strettoia infondo a Piazza Venezia, nel punto ove stava il palazzetto Venezia trasportato nel 1910 a sinistra di S. Marco), stabilirono il nome di Corso, che del resto, nel 1769, dal palazzo Ruspoli [13], già Caetani (Largo Goldoni), fino a Piazza del Popolo, aveva il solo palazzo Rondinini ora Sanseverino e lungo il percorso, grandi cloache per raccogliere acque ed immondizie sotto alti gradini [14] che fiancheggiavano la strada. Per il resto case di modestissimo aspetto ed orti.
“Nel Pontificato di Gregorio XVI (Mauro Alberto Cappellari - 1831-1846) venne tutta la presente via livellata e selciata, decorandola da ambedue i lati di regolari marciapiedi a comodo delle persone che vi si conducono al passeggio" (Rufini - 1834)
Questi gradini, che fiancheggiavano alcune strade, erano dei marciapiedi più alti degli attuali e tutti di pietra di taglio, erano detti "muriccioli"; e "scaglioni". Gregorio XVI li costruì di peperino e fasce di travertino per la sistemazione della via del Corso.
Il "muricciolo" addossato al palazzo Ruspoli, dal lato del Corso, fu demolito per allargare la via. Ma pare che la ragione fosse altra, così come il Belli diceva protestando ch’era robba "...de fa rinnegà la fede!” giacché:
“Ciavemio quer boccan de marciapiede D’affittacce le sedie er carnevale, Nossignora! Viè er Zagro Tribunale Delle Strade e cche dè? Ce vo fa crede, Pecché la gente nun se metti a sede, Che er Corso come stava stassi male!”
Anche Massimo d'Azeglio (1798-1866), più esplicito, racconta nei suoi "Ricordi": "Questo scalino era un marciapiede alto 70 cm dal piano stradale. Su desso stava una fila di sedie di paglia, che venivano ad occupare le signore mascherate. La gente, che passeggiava davanti allo scalino, si trovava ad averlo ad un'altezza infinitamente comoda per fare... conversazione più o meno intima e segreta, secondo le disposizioni delle parti. È chiaro che vi era un solo ostacolo da superare a chi desiderasse d’avere un colloquio con una signora, invisibile [15] il resto dell'anno: riconoscerla allo scalino... Questo scalino era dunque il terreno neutro nel quale si incontrano e si imbrogliano, si accomodano mille interessi della vita amorosa... A poter sollevare il velo che copriva i misteri dello scalino, se ne sarebbero vedute delle belle". (D’Azeglio)
È chiaro pure che "er Zagro Tribunale” volle, con la soppressione del “muricciolo", rimuovere il... peperino dello scandalo, diventato anche più nocivo alla purezza dei costumi, dopo che, dal 1760, ebbe inizio la festa dei moccoletti [16] che, dice il Moroni, "voler rinnovare la memoria delle feste di Bacco e di Cerere" Mentre dal 1760 i moccoletti giostravano nel tratto da Piazza Ottoboni-Fiano (Piazza San Lorenzo in Lucina) a palazzo Ruspoli, fu dal 1773 che dilagarono per tutto il Corso.
Numerosi Palazzi gentilizi e chiese furono edificati lungo la via del Corso:
1. Palazzo Mancini-Mazzarino-Accademia di Francia 2. Palazzo Doria Pamphili 3. Palazzo Odescalchi 4. Fontana del Facchino 5. Chiesa di Santa Maria in via Lata 6. Palazzo Grifoni ex De Carolis (Banco di Roma) 7. Chiesa di San Marcello[30] 8. Palazzo Colonna-Sciarra 9. Palazzo Chigi[32] 10. Palazzo Verospi[33] 11. Palazzo Fiano-Ottoboni[34] 12. Palazzo Ruspoli 13. Chiesa di San Carlo 14. Hotel Plaza 15. Chiesa di San Giacomo 16. Chiesa di Gesù e Maria 17. Palazzo Rondinini
1 -Palazzo Mancini - Il palazzo costruito dal duca Filippo Giuliano di Nevers (1639-1707 - nipote del cardinale Mazzarino) nel 1662, fu poi acquistato (1725) per l'Accademia di Francia, aperta, a Roma, su Luigi XIV (1638-1715)
“Ce roi si grand, si fortuné, Plus sage que Cesar, plus vaillant qu’Alexandre, On dit que Dieu nous l’a donné…. Ah ! s’il pouvait nous le reprendre ! »
Aveva scritto de Bussy-Rabutin.
Nel 1666 Colbert soprintendente delle finanze, con l’approvazione reale, stabiliva di creare in Roma un'Accademia di Francia. Prima residenza fu la casa Saraco a S. Onofrio. (vedi salita di Sant’Onofrio - Trastevere)
Nel 1673 l'accademia si trasferì al palazzo Caffarelli (Campidoglio), nel 1685 al palazzo Capranica (piazza Capranica), nel 1725 al palazzo Mancini (via del Corso) fino al 1802, quando il 14 agosto si conclusero le trattative della permuta del palazzo dell'Accademia, con la villa Medici al Pincio. Anche l'attuazione di questa idea non risparmiò al Colbert che in sua morte si scrivesse:
“Caron voyant Colbert sur son rivage Le prend, à ce qu’on dit, e le noie aussitôt De peur qu’il ne mette un impôt Sur la barque et sur le passage”.
Il palazzo al Corso venuto, con la permuta, in possesso del granduca di Toscana, fu poi venduto all'ex re di Olanda Luigi Bonaparte, dal quale lo comprò Maria Teresa di Sardegna. L’ereditò la figlia Maria Cristina, regina di Napoli, l'acquistò da lei la contessa di Rosemberg e dai suoi eredi, per 80.000 scudi, lo comprò per l'Ordine Gerosolimitano il luogotenente Candida. Passò poi ai Salviati, ai Borghese, agli Aldobrandini ed attualmente al Banco di Sicilia.
2 - Palazzo Doria Pamphili - La casa della canonica di Santa Maria in via Lata, riedificata da Innocenzo VIII nel 1491, fu trasformata in palazzo dal cardinale Santori [17], che dovette cederla, per ordine di Giulio II (Giuliano Della Rovere - 1503-1513), al nipote del papa, Francesco duca d’Urbino.
I Della Rovere vi aggiunsero il magnifico cortile, attribuito al Bramante (1444-1514), e, nel 1581, la proprietà passò agli Aldobrandini, e, per il matrimonio di una Olimpia (1623-1681) con Camillo [18] Pamphili (1622-1666), passò a questi ultimi che ne sono attualmente i proprietari [19]. L’attuale facciata fu edificata da Alessandro VII (Fabio Chigi - 1655-1667).
3 -Palazzo Odescalchi - Il palazzo costruito sul disegno di Carlo Maderno (1536-1629) fu proprietà dei Benzoni di Crema, dei Colonna e del cardinale Fabio Chigi che, nel 1665, lo fece riedificare su disegni del Bernini.
Gli Odescalchi, famiglia del patriziato e decuriato di Como, arricchitasi col commercio, dopo l'elezione al papato di Benedetto Odescalchi [20] (Innocenzo XI), avrebbe cessato di esistere, giacché il fratello del pontefice Innocenzo XI (1676-1689) aveva un solo figlio, Livio, che restò scapolo. Questi però provvide a che un figlio della sorella, il marchese Baldassarre Erba di Milano, ereditasse il suo cognome ed i suoi beni che, dopo la morte del pontefice, erano stati accresciuti dall’investitura del ducato di Sirmio (Ungheria), datagli dall’imperatore Leopoldo I (1640-1705), insieme al diploma di principe dell’impero, in riconoscimento dei benefici avuti dal defunto Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi - 1676-1689) [21].
Il principe Baldassarre, che possedeva un palazzo sul Corso, comprò (1745), dai Chigi, quello che era retrostante al suo, sulla Piazza dei SS. XII Apostoli, e lo rese più sontuoso, ampliandolo, più del doppio, con l'opera di Nicolò Salvi (1699-1751) e Luigi Vanvitelli (1700-1773).
Nel palazzo, accoltavi dal principe Livio, abitò, dal 24 maggio 1699, la regina di Polonia Maria Casimira, vedova di Giovanni III Sobiesky. Restò in questo palazzo, quasi dirimpetto a Santa Maria in via Lata, per circa tre anni e fu qui che si svolse il romanzo di suo figlio Alessandro con la cortigiana Tolla di Bocca di Leone [22]. Piazza SS. Apostoli ebbe il beneficio dell’extraterritorialità durante la dimora della Regina [23].
4 - Fontana del facchino (già sulla facciata del palazzotto Grifoni ex De Carolis) – Fino al giugno 1882 campeggiava sulla facciata del palazzo (attuale Banco di Roma) di fronte a S. Marcello, mentre ora è collocata all’angolo dello stesso palazzo, in via Lata.
Circa una possibile identificazione iconografica della scultura che orna la fontana stessa, l’abate Teo Cancellieri (1751-1826) informa che Alberto Cassio (archeologo - 1669-1760) attribuisce a Gregorio XIII (Ugo Boncompagni - 1572-1585) il fonte “dove si vede un facchino che tiene un barile nelle mani dal quale versa l’acqua in ben lavorata conchiglia”. Una tradizione anacronistica, rammentata dallo stesso Cassio, e della quale nel 1751 si faceva eco il Vanvitelli, l’attribuì al Buonarroti. Facchino semplicemente “baiulus in romano curricula", lo chiama Giovanni Michele Silos (1673). Invece Giovan Battista Marino (1569-1625) lo dice “villan cortese”.
Ma il Cancellieri aggiunge che “si narra per tradizione che nel pontificato di Urbano VIII (Maffeo Barberini - 1623-1644), voltandosi il progetto di questo fonte dal vicolo nella strada del Corso, vi si rappresentasse col barile in mano un facchino che era, a quanto dicesi, un condannato in quel tempo”.
E Filippo Tolli l’identifica in un certo Abbondio Rizzio “facchino che portava l’ojo (olio) e venne messo a morte per aver burlato un gran signore”.
Una lapide lo commemorava: “Abondio Retio – In Publicis Stillicidis Coronato – In Ligandis Superligandisque Sarcinis – Expertissimo – Qui Bibit Quantum Voluit – Vixit Quantum Potuit – Et dum Vini Cadum Intus – Et Extra Portabat – Nolens Obiit”. Ciò che esclude la sua morte per mano del Boia.
Per Margherita Naval, il Rizzio diviene un acquaiolo del Rinascimento, amatissimo da Bacco, condannato a espiare la sua incontinenza col versare acqua per l’eternità La Naville asserisce però che questa “figura in tonaca (sic) e berretto” viene creduta dal popolo Martin Lutero.
Pietro Chiminelli (1886-1959) voleva fosse Marco Antonio de Dominicis di Arbe (Dalmazia) (1566-1624) arcivescovo di Spalato che, avendo sostenuto Venezia contro Paolo V, fu colpito da interdetto, ed avendo apostatato, diventò decano di Windsor, dove pubblicò la Sarpiana storia del Concilio di Trento. Riconciliatosi con la Chiesa, per breve tempo, morì, naturalmente, in Castel S. Angelo e “il Santo Uffizio continuò il suo processo e bruciò il suo cadavere (assieme ai suoi scritti) sulla piazza di Campo dei Fiori. Poi ordinò che si facesse a memoria di lui una fontana all’angolo destro del palazzo Simonetti (Banco di Roma) ove fosse scolpito in figura di facchino [24] che tiene nelle mani un barile dal quale esce acqua”.
5 - Santa Maria in via Lata – Un’antica tradizione dice che dov’è ora la chiesa, avessero dimorato gli apostoli Pietro e Paolo e che S. Luca vi abbia scritto gli “Acta Apostolorum”. Negli scavi fatti è stata trovata, al livello primo della via Lata, ruderi [25] di un’antica casa del III sec. che potrebbe esser quella in cui San Paolo “mansit autem biennio toto in suo conducto...” mentre “...praedicns regnum Dei et docens quae sunt de Domino Jesu Christo cum omni fiducia, sine prohibitione”. Da un oratorio, che si fà risalire a S. Pietro (Bruzio Theatre Urbis Roma), sembra certo sia stata riconosciuta come un’antica stazione apostolica, dove Sergio I (687-701) nel 700 avrebbe edificata una memoria alla Madonna, costituendola poi in Diaconia.
La vicinanza dei conti di Tuscolo, che avevano la loro abitazione nelle case, poi, dei Colonna (Piazza SS XII Apostoli), sembra possa confermare le notizie che si hanno d’ingrandimenti e restauri fatti da Teodoro, cardinale di Santa Maria in Via Lata (VIII sec.), padre di Adriano I (Conti di Tuscolo-Colonna), e da Teofilatto e Teodora (sec. IX-X) genitori di Marozia, sposa di Alberico, avo di Gregorio I conte di Tuscolo. Arricchita di reliquie da Leone IX (Bruno von Egisheim-Dagsburg - 1049-1054), Eugenio IV (Gabriele Condulmer - 1431-1447) vi unì, nel 1433, il monastero di S. Ciriaco (già piazza del Collegio Romano), che fu trasferito da Niccolò V (Tommaso Parentucelli - 1447-1455).
Vi fu celebrato il funerale della madre di Napoleone:
Sabato 6 febbraio 1836 – “Questa mattina a S. Maria in via Lata si è fatto il funerale alla Madonna Letizia senza alcuna paratura e col cadavere esposto in terra. Vi è stato del diverbio sopra l’abito ed ornamento regio, e sopra l’armi già imperiali di Francia, cioè l’aquila coi fulmini, che il cardinale Fesch voleva adottare ed a cui poscia ha dovuto rinunciare, e nello scudo dell’arma, che è stata posta sulla porta della chiesa, non vi era più la "N”. Era defunta da 5 giorni, infatti si legge: “Martedì 2 febbraio – Ieri verso le 8 di Francia, morì Madama Letizia Bonaparte, madre dell’imperatore Napoleone, in età di 87 anni, da molto tempo allettata per rottura di una coscia in conseguenza di una caduta e quasi del tutto cieca”.
6 - Palazzo Grifoni ex De Carolis - É sorto nei primi anni del XVIII sec., in luogo delle casupole componenti la così detta “isola del facchino” (palazzo Bentivoglio, case dei Barberini, ecc.) a causa della fontanina che allora era sul Corso (già sulla facciata del palazzetto Grifoni, oggi è su via Lata).
I De Carolis di Pofi [26] (Frosinone), dopo aver acquistato dagli Altieri il marchesato di Prossedi, incaricarono l’architetto Alessandro Specchi d’erigere una fastosa dimora per incorniciare la loro neo-ricchezza e nobiltà. Presto decaduti, vendettero il palazzo ai Gesuiti che lo riaffittarono.
Nel 1748 vi abitò l’abate De Canillac incaricato d’affari del re di Francia Luigi XV (1715-74), presso la Santa Sede.
Nel 1769 vi abitò il conte di Kaunitz, figlio del gran cancelliere di Maria Teresa (d’Asburgo), inviato straordinario presso il Santo Collegio per il conclave che elesse Clemente XIV (Gian Vincenzo Antonio Ganfanelli - 1769-1774). Nel 1775 vi abitò il cardinale Francesco Gioacchino De Bernis (vescovo di Alby in Francia e di Albano in Italia), il protetto di madama Pompadour, quale ambasciatore di Luigi XV. Il cardinale vi tenne banchetti solenni, conversazioni, ricevimenti, cui partecipava il fior fiore del gran mondo internazionale, tanto che il Porporato definì i suoi saloni “l’auberge de France, au carrefour d’Europe”[27].
Nel 1828-1829 (proprietari i marchesi Simonetti) vi abitò Francesco-Renato visconte di Chateaubriand [28] ambasciatore di Carlo V (1824-1830).
Gli ambasciatori francesi vi abitarono fino al 1831, quando si trasferirono al palazzo Colonna ai Santi Apostoli.
Fu acquistato il palazzo, da don Luigi Boncompagni; principe di Piombino e Venosa, nel 1833, che lo affittò a nobili famiglie romane e straniere, a facoltosi mercanti di campagna, ad uffici bancari, ed il pianterreno a magazzini di mode e librerie.
Nel 1908, sotto la direzione di Ernesto Pacelli, ne fu fatto l’acquisto dal Banco di Roma, che incaricò della trasformazione l’ing. Marcello Piacentini [29].
8 - Palazzo Colonna-Sciarra, (Trevi) Donna Polla, sorella di M. Vipsanius Agrippa (63-12 a.Ch.) iniziò la costruzione di un portico (Portucus Vipsania) nell’area del palazzo Sciarra in onore del fratello ed Augusto (27 a.Ch.-14 d.Ch.), suo grande amico, lo completò nel 7 a.Ch. e ne rese pubblica l’area. Il portico segnava l’inizio dei possedimenti privati di Vipsanio Agrippa che arrivavano fino a via Condotti. L’imperatore Adriano (117-138 d.Ch.) lo ricostruì. In quel sito, già nel medioevo, la famiglia Colonna possedeva due edifici che, si tramanda, fossero chiamati “palazzo imperfetto” e “palazzetto”. Fu nel “Palazzetto” che risiedette Giacomo Colonna (1270-1329) detto Sciarra quando, nel 1303, sequestrò papa Bonifacio VIII (Benedetto Caetani – 1294-1303), o quando, essendo capitano del popolo romano, favorì l’incoronazione di Ludovico il Bavaro (1282-1347). Nel 1610, la famiglia Sciarra-Colonna incaricò l’architetto Flaminio Ponzo (1560-1613) di riunire i due edifici in un solo palazzo. Ancora nel 1641, il cantiere, ancora in attività (!), fu diretto da Orazio Torriani (1578-1657) che completò l’opera. Alla metà del XVIII secolo, il cardinale Prospero Colonna di Sciarra (1707-1765) rinnovò gli interni e fece eseguire degli affreschi con il consiglio di Luigi Vanvitelli (1700-1773). Tra il 1882 e il 1875, Maffeo Barberini Colonna di Sciarra (1850-1925) fece ampliare l’edificio dall’architetto Francesco Settimj (1888) e, tra il 1885 e il 1888, realizzò, ad opera di Giulio de Angelis (1845-1906), “la Galleria Sciarra” affrescata da Giuseppe Celini (1855-1940) e la via Marco Minghetti sul tracciato dell’acquedotto romano dell’acqua Vergine che era stato realizzato da M. Vipsanius Agrippa, nel 19 a.Ch., per alimentare le sue terme (Pantheon). Nel 1887, Maffeo divenne proprietario del giornale di opposizione “La Tribuna” che ospitò nel suo palazzo in via del Corso. Nel 1970, il palazzo fu acquistato dalla Cassa di Risparmio di Roma che lo detiene ancora.
12 - Palazzo Ruspoli, [35] (Campo Marzio) eretto, tra il 1556 e il 1586, per la famiglia fiorentina dei Ruccellai, da Bartolomeo Ammannati (1511-1592). Fu acquistato, nel 1629, dai Caetani, duchi di Sermoneta, che ne modificarono la facciata su Largo Goldoni, nel 1630, ad opera di Bartolomeo Breccioli (+1637). Nel 1776, il palazzo fu acquistato dai Ruspoli, marchesi di Cerveteri, originari di Siena che, in parte lo detengono ancora [35bis]. Il palazzo ha una magnifica scalinata, dovuta a Martino Longhi il Giovane [36], composta di oltre cento gradini di marmo di un solo pezzo. Dopo la caduta di Napoleone, vi abitò la regina Ortensia, con i due figli, l'uno dei quali fu poi Napoleone III (1852) [37].
13 - Piazza S. Carlo al Corso (Campo Marzio) - I Lombardi che ebbero fin dal basso medioevo una schola presso S. Pietro (si crede l’attuale cortile di S. Damaso) quando, con l’approvazione di Sisto IV (1471-84), costituirono una confraternita della Nazione, il Pontefice gli assegnò la chiesetta di S. Niccolò de Tufis o ad Tufosche che stava pel Corso ed era priva di culto per il suo stato “ruinoso e cadente”.
Acquistato altro terreno, la confraternita, fra il 1513 ed il 1520 costruì una chiesa più grande che, essendosi col tempo dimostrata insufficiente, spinse i Lombardi, dopo varie peripezie, ad iniziare a costruirne una assai più vasta.
Il 1 febbraio 1612 fu posta la prima pietra della nuova chiesa che all’antico titolo di S. Ambrogio aggiungeva ora quello di S. Carlo. Il tempio, completo [38], senza la tribuna (aggiunta assai più tardi), sorse solo nel 1648, ma, quanto al culto, vi fu praticato fin dal 1614, quando con una processione solenne (le finestre sul Corso furono pagate fin “doi e tre scudi l’una"), vi fu traslata la reliquia del core di S. Carlo, per cui “Domenica (6 luglio 1614) Sua Santità (Paolo V - Camillo Borghese) a bon hora da Montecavallo si trasferì a celebrare la messa nella chiesa di S. Ambrogio al Corso all’altare di S. Carlo Borromeo (canonizzato dallo stesso Paolo V), avendo, prima che partisse, fatto calare la reliquia del core di S. Carlo, per vederla dappresso”.
14 - Hotel Plaza (Campo Marzio) - Di fronte alla chiesa di San Carlo è adesso l’Hotel Plaza, una volta ´´Albergo di Roma´´ di primissimo ordine nell’ultima Roma papale [38bis].
Vi alloggiò Carlotta di Sassonia Coburgo Gotha, figlia di Leopoldo I del Belgio, quando nel 1867 venne a Roma per interessare Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti - 1846-1878) alla sorte del proprio marito Massimiliano Ferdinando Giuseppe Arciduca d’Austria e imperatore del Messico, in quel momento prigioniero del partito Juarez, che lo fucilò il 19 giugno 1867.
Quando in visita di congedo, nel 1863 l’Arciduca Massimiliano era venuto dal Pontefice, Pasquino aveva ammonito:
“Massimiliano, non ti fidare. torna sollecito a Miramare! Il trono fracido di Montezuma è nappo gallico pieno di spuma. Il “timeo Danaos”, chi non ricorda? Sotto la clamide trova la corda.
Accanto alla chiesa, è l’accademia dell’Arcadia [39] fondata il 5 ottobre 1690 da 14 letterati, frequentati da Cristina di Svevia (morta nel 1689), con lo scopo di combattere le ampollosità e le esagerazioni dei poeti del ‘600 [40]. Quando, ad esempio, pel Marini, gli sputi della sua bella erano “fiocchi di neve, spume di latte”; le stelle “narcisi del cielo” e si finì a costringere una bella donna a sembrare canuta, per poter essere ammirata. Modelli degli Arcadi furono gli antichi poeti pastorali, ed essi cercarono la semplicità e la naturalezza ispirandosi nient’altro che al sentimento.
Ma l’esagerazione, che dovevano combattere, finì per impadronirsi di loro e, nel 1725, per la petizione della Serenissima Violante di Baviera, Gran Principessa di Toscana, ma ad iniziativa dell’Arcadia, fu incoronato poeta in Campidoglio, la domenica 23 di maggio, un tal Bernardino Perfetti pisano cui non fece ombra che a tale onore fossero già stati eletti Francesco Petrarca e Torquato Tasso.
Per il “privilegium laurae” conseguito da Petrarca sul Campidoglio e per i concetti svolti nel discorso dal Poeta e la confidenza tra lui e il senatore Orso, si può senz’altro ritenere che il Privilegium suddetto sia stato steso, riveduto e corretto dallo stesso Petrarca e viene a ragione collocato tra i suoi scritti [41]. Circa la cerimonia avvenuta l’8 aprile 1341, giorno di Pasqua, in un’epistola metrica, lo stesso Petrarca così la racconta all’amico e familiare del Re Roberto, Giovanni Barrili:
“Subitamente allora a la chiamata I potenti s’adunano di Roma Di festante romor suona e s’adempie Il Campidoglio, ed esultar diresti Le mura istesse e la vetusta mole. Si dà fiato alle trombe; a gara il vulgo Desideroso di veder s’accalca Romoreggiante. Io stesso, io più d’un ciglio Vidi a stento frenar di tenerezza Le lagrime, de molti accolti amici, Ascende il sommo; tacquero le trombe, Il mormorio si tacque....
Dice del breve discorso da lui pronunziato; e seguita:
“Indi orator facondo, a parlar prese Orso [42], e il delfico alloro a le mie tempie Cinse fra i plausi de Quiriti e i viva. Stefano [43] quindi (il massimo fra quanti Produsse la gran Roma a’ giorni nostri) Fummi cortese di gran laudi
Si avvolge a questo punto nel rosso mantello donatogli dal re di Napoli e di Sicilia (re Roberto), e che già aveva ricoperto le regie spalle; e formatosi il corteo, si avviano a S. Pietro.
Ma peggio accadde sotto la custodia dell’abate Gioacchino Pizzi (morto nel 1790), regnando Pio VI (Giovanni Angelo Braschi - 1775-1799).
La stessa funzione fu dunque decretata per la pastorella Corilla Olimpica (Maria Maddalena Morelli Fernandez) che fu così come il Petrarca, incoronata il 31 agosto 1776 in Campidoglio e Pasquino pubblicò un bando:
“Ordina e vuole monsignor Maffei, che se passa Corilla coll’alloro nessun le tiri bucce o pomodoro, sotto la pena di bajocchi sei.”
E per commentare lo scandaloso fatto, scrisse:
“Per coronare una p......; oscena tal ci voleva un Papa di Cesena” [44]
15 - Chiesa di San Giacomo “dall’annesso ospedale prende il nome di San Giacomo degl´incurabili, poiché la confraternita di San Giacomo del Popolo ottenne la cura dell´ospedale che aveva già fondato il cardinale Pietro Colonna. Il cardinale Antonio Maria Salviati nel 1600, dilatando l’ospedale fondò questa nuova chiesa con disegno di Francesco da Volterra, che la condusse fino alla cornice. Carlo Maderno la coprì e vi aggiunse il coro, l’altare maggiore e la facciata a due ordini di pilastri dorici e ionici” [45].
16 - Chiesa di Gesù e Maria - “Era qui anticamente una piccola chiesa dedicata a S. Antonio Abbate, che si disse “in Paolina” dal nome della strada. I padri eremitani riformati di S. Agostino, detti Agostiniani scalzi, la tolsero (ottennero) in cura e, sulla metà del XVII secolo, costruirono la nuova chiesa con disegno di Carlo Milanese. Il Rinaldi vi aggiunse la facciata e diede il disegno per l´altare maggiore. La facciata d´ordine composito è giustamente biasimata per l´altezza dei suoi pilastri” [46].
17 - Palazzo Rondinini o Rondanini – Costruito tra il 1744-1748 per il barone Rondanini da due architetti, Gabriele Valvassori, che realizzò gran parte della struttura esterna, e Alessandro Dori che realizzò la facciata su via del Corso, il cortile e gli ambienti interni.
Dopo il 1760, il palazzo fu ingrandito dal lato della chiesa di San Giacomo. Di questa fase è la porta d'ingresso ornata da quattro colonne, sovrastata da un balcone [47].
La collezione d’arte dei Rondanini, andata smembrata in seguito a divisioni ereditarie e liti giudiziarie, era di grande importanza e comprendeva reperti provenienti dagli scavi in zona di Tor Pignattara. Famosa tra questi una testa di Medusa. Ne dice Lorenzo Guattani nel 1788: "Questa Maschera è d'una sorprendente bellezza. Per farne l'elogio basta il nominarla, tanto ella è cognita al ceto degli eruditi, e degli amatori del disegno. Qui nulla manca: forme, espressione , carattere , e conservazione , tutto cospira a render questo monumento, fra gli antichi, uno di que' pochi che sulle dita annoverar si ponno .Essa è situata sopra d’un tavolino, che ha dietro uno specchio . Ciascuno prende il piacere di vederla dentro il cristallo, e, se la guarda con riflessione, alla malinconica fierezza di quel volto non può non risentire freddo e terrore. Quanto di armonia, e di forza non acquistano le belle sculture vedute a traverso di uno specchio o di una lente !".
Michelangelo vi ha lavorato, lasciando un abbozzo di "Pietà" che è ora a Milano nel Castello Sforzesco.
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[1]) Creduta da alcuni la “Fontinalis”, ripete il suo nome da un auriga etrusco che, dopo una corsa a Vejo, era stato trascinato dai cavalli infuriati ai piedi del Campidoglio, rotta la quadriga, egli era rimasto ucciso. In seguito all'accaduto i Veienti consegnarono a Roma la quadriga per il tempio di Giove Capitolino.
[2] ) Fondazione di Aquileia (571 a.U.C-183 a.Ch.).
[3] ) Via Marcel di Corvi (Quartiere Alessandrino): Demolizione del così detto Sepolcro dei Claudii per la costruzione del Vittoriano del 1888-1889. (Bollettino della Commissione archeologica comunale di Roma , Volume 101).
[4] ) Quando sotto Tiberio (14-37) furono aboliti i comizi vi si tennero adunanze del Senato e assemblee popolari. Del resto Augusto vi aveva già fatto tenere un combattimento di gladiatori, esempio che fu poi seguito da Caligola, Claudio e Nerone. Domiziano a causa della vicinanza della Villa Pubblica ne assegnò una parte a pubblico passeggio. E per la vicinanza dello Speco dell’Acqua Vergine vi si dettero Naumachie.
[5] ) Diribitorium – (diribire – dishibere = scrutinare i voti) Plinio e Svetonio ne parlano come di un'opera grandiosa, cominciata da Agrippa e finita da Augusto. Dione Cassio aggiunge che l'edificio ornato con lusso particolare, aveva molto sofferto per l'incendio dell'81 e che da allora il tetto della grande sala non era più stato ricostruito, per mancanza di travi di una lunghezza così considerevole, che a detta di Plinio avevano 100 piedi di lunghezza (circa metri 30) per 0,45 di spessore. Dopo il terzo secolo non è più ricordato, ma doveva trovarsi congiunto ai Saepta .
[6] ) Fa nascere il papa nella regione di via Lata e dice che Lucinia ha fondato il titolo in una casa che le apparteneva, dove Marcello morì in qualità di mandriano delle bestie del Catabulo..
[7] ) Il Praefectus Urbis in Roma stendeva la sua giurisdizione a 100 miglia da Roma, presiedeva alla giustizia, alla polizia, all'annona, ai commerci, alle banche, agli spettacoli e aveva facoltà di relegare e deportare nelle isole. Del Senato, fin dalla sua origine, faceva parte il Praefectus Urbis. Creato dai re e confermato dai consoli. Prima Augusto e poi Tiberio ampliarono i poteri del prefectus attribuendogli anche quello di “praetor urbanus”.
[8] ) In questo portico che, dopo il censimento dell'anno 8 a.C. (descriptio orbis), fu esposta la grande carta cosmografica "totius orbis". La prima "Forma Urbis" sembra fosse stata disegnata da Agrippa (12 a.C.) nella “porticus Vipsania” (avanti al “Campus Agrippae”) insieme ad una grande pianta dell'impero (Orbis pictus).
[9] ) Furono poi sostituiti da Claudio (41-54) con altri più robusti.
[10] ) Marco Agrippa Vipsanio (12 a.C.).
[11] ) La mossa dei barberi, che allo squillo di tromba del capo barbaresco si allineavano per la partenza: “Al segno della tromba, e non prima, essi (i barbareschi) porteranno al campo i corridori e ve li tratterranno con la maggiore quiete possibile, sino al segno della mossa, astenendosi dall'usare nervi, fruste e bacchette per non spaventarli, sotto la pena della carcerazione.....” "Per vedere tali partenze si costruivano sulla piazza tribune di legno ad uso d'arte e con tutta la sicurezza tanto degli spettatori che li prendevano in fitto, quanto di tutto il resto del popolo circostante” ed “una visita del tribunale delle strade nella mattina delle corse doveva constatarne la solidità”. In una di esse, anche Vittorio Emanuele II assistette all'inizio della corsa, che fu abolita nel 1882.
[12] ) Nel sec. XV la corsa dei Barberi o dei Bufali s’iniziava da “S. Jacomo in Austa" (S. Giacomo degli incurabili).
[13] ) Risalirebbe la loro famiglia ad un Neri Ruspoli, grosso contadino, vissuto nel 1200 nelle vicinanze di Campi (Toscana). Ma il vero fondatore della casa è Bartolomeo, ricco tessitore di lana, che circa la metà del ‘600 si trasferì in Roma, acquistando un palazzo in piazza dell'Ara Coeli. Questi lasciò sua erede Vittoria Ruspoli (1684) con l'obbligo che suo marito Sforza Marescotti assumesse il cognome di lei e l'annesso titolo di marchese, acquistato dal defunto dagli Orsini, con il feudo di Cerveteri. Fu poi per servizi militari resi dal Marescotti che Clemente XI (1700-1721) trasformò il titolo di marchese in quello di principe. Ebbe questa famiglia più rami tra i quali i Ventura o Venturini, dal nome del capostipite Bonaventura, ai quali, dal ramo principale che lo teneva fin dal primo quarto del secolo XII, passò, il 1 gennaio 1290, il castello di Cerveteri. Coinvolti nelle rivendicazioni di Cola di Rienzo, al quale, nel 1347, "li fu rassegnato in marittima lo forte et opulento castello di Ceri", li ritroviamo, nel 1356, nuovamente feudatari. Al principio del secolo XV una parte, per un matrimonio, passa agli Stefaneschi.
[14] ) “Il pavimento della via Lata Flaminia (Corso) durante la Repubblica si trovava a m.5,25 più in basso dall’attuale.
[15] ) Dal contratto di affitto del “gradino”: “Essendo terminato il contratto di affitto dello scalino, lungo il palazzo Ruspali nella via del Corso per gli otto giorni di carnevale del cadente anno 1846 con il signor Andrea De Marchis, e soprattutto che l'ec. e.mo principe don Giovanni Ruspali, proprietario, non sarebbe stato alieno alla stipulazione di un nuovo contratto, si sono presentati a quest'effetto vari concorrenti…”.
[16] ) Per capire l'aggettivo, bisogna esser nati, al più, cinquant'anni dopo. Carnevale i "moccoli" - "Appena cala la notte sul Corso angusto ed infossato, ecco apparire, qua e là, dei lumi alle finestre, altri accennare sui palchi e, in pochi minuti, diffondersi all'intorno un tal fuoco, che tutta la via appare rischiarata come da ceri ardenti. I balconi si adornano di lampioni di carta trasparente, tutti espongono la loro torce alle finestre, tutte le tribune sono illuminate e anche l'interno delle vetture presenta uno spettacolo grazioso, per certi piccoli candelabri di cristallo che da sopra il mantice illuminano i vari gruppi, mentre in altre carrozze le signore con le candeline colorate in mano sembrano quasi invitarvi ad ammirare la loro bellezza. I lacchè appendono minuscole candele all'orlo dei mantici; le vetture scoperte espongono lampioncini di carta colorata; fra i pedoni, alcuni passano con alte piramidi luminose sulla testa, altri hanno fissato i loro moccoli in cima alle canne, in modo che queste pertiche arrivano all'altezza di due o tre piani. A questo punto ognuno si fa dovere di portare in mano un moccolo accesso e da tutte le parti echeggia l’interiezione favorita dai romani: "Sì ammazzato! Si ammazzato chi non porta il moccolo!" grida l'uno all'altro, cercando ognuno di spegnere con un soffio il lume dell'avversario. Questo continuo accendere e spegnere, e l'esclamazione "Sì ammazzato" diffondono ben presto, col brio e l'animazione, un reciproco interesse nella folla enorme. Non si bada se le persone siano note o sconosciute; non si cerca che di spegnere il lume più vicino, o di riaccendere il proprio, o di spegnere, durante questa operazione, il lume di chi aiuta ad accendere il proprio...!" (Goethe).
[17] ) Già proprietà del cardinale Acciapaccio, che ne aveva iniziato la costruzione (1447) poi proseguita dal cardinale Zeeck, e terminata dal Santori che l’aveva acquistata nel 1489.
[18] ) Era figlio di donna Olimpia Maidalchini e di Porfilio Pamphili, fu nominato, dallo zio Innocenzo X, cardinale nipote e poi dispensato per sposare donna Olimpia Aldobrandini principessa di Rossano. Diceva Pasquino: “Magis amat Papa Olimpiam quam Olimpum”.
[19] ) Doria-Pamphili-Laudi – Famiglia genovese (forse originaria d’Oria – Brindisi) XI-XII sec. Di parte ghibellina, fu esiliata dal doge Boccanegra, ma, alla rinuncia di questi al dogato (1344), rientrò a Genova. Di Branca d’Oria, che uccise il suocero Michel Zanche (1275), dice Dante nel XXIII canto dell’inferno:
“...Egli è Branca d’Oria, e son più anni Poscia passati, ch’ei fu sì racchiuso.” “Io credo” dissi lui, “che tu m’inganni; Ché Branca d’Oria non morì unquanche, E mangia e bee e dorme e veste panni.” “Nel fosso sù”, diss'el, “de' Malebranche, là dove bolle la tenace pece, non era ancora giunto Michel Zanche, che questi lasciò il diavolo in sua vece nel corpo suo, ed un suo prossimano che 'l tradimento insieme con lui fece”.
Né basta a Dante aver messo il diavolo in corpo al d’Oria, ma contro i Genovesi scrive ancora:
“Ahi, Genovesi, uomini diversi d'ogne costume, e pien d'ogne magagna, perché non siete voi, del mondo, spersi?”
Un Oberto (Doria) vinse i Pisani alla Meloria (1284); Lamba Doria vinse i Veneziani guidati da Nicolò Pisani (1351); e Luciano, vittorioso su Vettor Pisani a Pola (1379) ed altri ancora, sui quali primeggia quell’Andrea (1468-1560) chiamato dai suoi concittadini “padre liberatore della patria, ed eletto dal 1528, censore a vita”. Il nipote Giovanni Andrea, sotto la guida di Giovanni d’Austria, combatté il 7 ottobre 1571 a Lepanto con Marcantonio Colonna, Agostino Barbarigo, Sebastiano Venier, Alessandro Farnese, e Andrea Provana contro Kapudan Pascià Muëssin Sade Alì che fu vinto e ucciso. Giovanni Andrea IV Doria, duca di Melfi (1704-1765), sposo di Eleonora Carafa, fu erede (1760) dei Pamphili e dei Landi, dando origine all’attuale casa dei principi Doria-Pamphili-Landi. Le salme dei Doria, che risalgono tra il 1275 e 1305, riposano a San Fruttuoso (Camogli -Genova) a destra della chiesa, presso al chiostro, di fattura romanica con loggia superiore, in tombe sormontate da archi acuti e facce di marmo nero poggianti su colonne binate. Furono i Benedettini Cassinesi che nel X secolo costruirono una chiesa e un monastero a San Fruttuoso (I Doria nel 1550 ebbero l’abazia in giuspatronato), dove già avrebbero eretto una chiesetta i discepoli di San Fruttuoso venuti di Spagna nel 260 per sfuggire alle persecuzioni.
[20] ) Disse Pasquino:
"Si nacque a Como e un tempo fu un mercante Fu poi soldato, indi si fece prete Con Donna Olimpia giocando alle carte la porpora attirò nella sua rete".
[21] ) Innocenzo XI (Giovanni Battista Pamphili - 1644-1655) - Nato a Como (1611) da un’antica famiglia diventata ricca col commercio. Da Papa viveva come un eremita, non scendeva mai nei giardini vaticani o del Quirinale, di rado usciva in carrozza, il suo appartamento era improntato con semplicità apostolica, teneva pasti frugali. Si dice che per dieci anni abbia portato la medesima sottana. Delude in teologia ed in politica. Il lato forte: l’alta concezione dei diritti della Chiesa. La forma moderna della Segreteria di Stato (Alderano Cybo fu Segretario di Stato per tutto il suo pontificato). Da Sisto V in poi, nessun Papa aveva curato, come Innocenzo XI, con tanta avvedutezza le entrate dello Stato della Chiesa (politica agraria, freno agli interessi degli ebrei). Avanzo annuale trecentomila scudi; deposito nel Tesoro dello Stato di un milione di scudi. Lontano dal nepotismo, severo nel vietare il lusso e i divertimenti. Tentò il prosciugamento delle paludi pontine. Fece ricoprire, con un colpo di pennello, il petto della Madonna di Guido Reni al Quirinale. Emanò editti contro la moda delle donne e vietò le rappresentazioni teatrali. L’attività edilizia fu moderata, tra cui la costruzione dell’Ospizio di San Michele e, in progetto mai realizzato, la fontana e il prolungamento del colonnato di San Pietro fino a piazza Scassacavalli, fermandolo con un arco di trionfo e una torre da orologio. Il Cesaro-papismo di Luigi XIV, fu sempre combattuto dal pontefice, anche per la questione ugonotta. Anche dopo la revoca dell’editto di Nantes da parte del re francese, il Papa non approvò le violenze perpetrate contro i protestanti, disapprovando esplicitamente il dispotismo del re e l’impiego di mezzi di forza brutale per le conversioni. Alla morte del Papa il 12 agosto 1689, assistito dal suo medico Giovanni Maria Lancisi (1654-1720), si dice caddero due archi del Colosseo.
[22] ) Alessandro Sobieski - Venne a Roma, con la madre Maria Casimira vedova di Giovanni III Sobieski, il 24 maggio 1699 ed insieme a lei abitò il palazzo Odescalchi fino al 1702, dove ricevette la visita di Clemente XI il 5 maggio 1701. Alessandro si innamorò di una cortigiana "honesta”, Tolla di via Bocca di Leone, che era l'amante del duca Gaetano Cesarini. Riuscito il Sobieski a portarla via al duca Romano, questi riuscì, una sera che la Tota aveva accompagnato al palazzo il nuovo amante, a sorprenderla nel vicino vicolo del Piombo e per vendicarsene tentò sfregiarla con un colpo di spada. Le grida della Vittoria (Tota) fecero accorrere le guardie della regina che non riuscirono però ad arrestare il Cesarini. Le grida ed il rumore attirarono la folla e scoppiò lo scandalo. Nonostante l'intercessione di alte personalità, Don Gaetano fu precettato in casa sotto pena di 10.000 scudi e benché tutta la nobiltà romana fosse posta a rumore perché "Signori di alta nascita (i Cesarini) ci avrebbero molto scapitato a sottoporvisi" pure fu arrestato e portato a Castel Sant'Angelo. E solo all'ottavo giorno fu liberato, quando si piegò ad andare a baciare la mano alla regina ed a chiedere scusa a lei e al figlio. Finì però per tornare in possesso della Tota, perché, per i ... “viveri” tagliati dalla madre al figlio Alessandro, questi non poté più frequentare la via Bocca di Leone per mancanza di “munizioni”.
[23] ) La regina passò poi alla Trinità dei Monti nel casino dei Torres, unito da lei con un ponte alla casa degli Zucchari in via Gregoriana, dov'è restata la sua arma sul portone e alla villa Caserta all'Esquilino.
[24] ) Era uso, per l'investitura della…carica, al neo facchino incoronato, si facessero battere le natiche sul marciapiede. Da qui viene quel modo di dire a chi cade in terra: "Hai preso possesso?".
[25] ) La chiesa, è stato accertato, era stata fabbricata sui “Saepta Julia” (I sec. a.Ch.). Vicino alla chiesa si trovò, nel medioevo, l’indicazione topografica “diburium” o “deburo” ricordo del “diribitorium” che serviva un tempo per lo scrutinio dei suffragi.
[26] ) Battista De Carolis, nato a Pofi di Frosinone nel 1645 e ivi morto a 73 anni è protagonista di una leggenda che lo dice il trovatore di un tesoro nell’isola Martana al lago di Bolsena. Tesoro appartenuto ad Amalassunta, ivi uccisa da Teodato nel 534, col ricavo del quale avrebbe acquistato e marchesato e palazzo e tenute. Il Battista confessava di essere venuto a Roma a Campo dei Fiori dietro agli asini a vendere la biada. L’ultimo dei De Carolis, Michele, morì novantenne nel 1752.
[27] ) Il cardinale de Bernis morì nel dicembre 1794 e fu sepolto in S. Luigi dei Francesi (dopo aver speso somme ingenti a favore dei profughi francesi e della causa monarchica).
[28] ) Aveva abitato a Roma nel 1803 quando fu nominato segretario del cardinale Fesch, ambasciatore imperiale. A palazzo Simonetti (ex de Carolis) fu la sua seconda venuta a Roma, mentre nella prima, come racconta, abitò nel palazzo Lancellotti “dove le pulci annerivano i suoi candidi calzoni”.
[29] ) Notizie più dettagliate si hanno nel N°5, anno VI degli Studi Romani a pag.572 e seguenti.
[30] ) Vedi "Piazza di San Marcello", Trevi.
[32] ) Vedi "Piazza Colonna", Colonna.
[33] ) Vedi "Vicolo dello Sdrucciolo", Colonna
[34] ) Vedi "Piazza e via in Lucina", Colonna
[35] ) Nel 1686 Francesco Marescotti abbandonò il proprio cognome per raccogliere l'eredità e far rivivere il nome Ruspoli, sposando Vittoria ultima della casata, che aveva avuto origine dai Capizucchi.
[35bis] ) Il piano terreno del palazzo fu affittato, nel 1836, da Alessandro Ruspoli (1785-1842) al Signor Gaetano Ferrarini che ne fece un locale “ad uso di caffè, trattoria e bigliardi”. Il locale, di gran successo, prese il nome di “Caffè Nuovo”. Era il primo di Roma, illuminato a gas nel 1847. Il caffè era anche detto "nicchie di palazzo Ruspoli”. Dov'è adesso il cinema Corso (ora non più), in piazza San Lorenzo in Lucina, "aveva un giardino con alcune statue; a sera il gas era acceso e bruciava, da ambo le parti il flauto di un pastore. Pesci rossi giravano nella vasca sotto le foglie verdi." (C. Andersen - 1846). Esso aveva tre ingressi, uno su piazza Lorenzo in Lucina, il secondo su via del Corso ed il terzo su via di Fontanella Borghese.
[36] ) È del Longhi anche il portone per la via Fontanella di Borghese. La facciata sul corso è attribuita al Breccianoli o Breccioli. Le opere d'arte e i busti, già nel palazzo, sono ora al Museo Vaticano.
[37] ) Quando fu celebrato a Roma il suo avvento, Marforio domandò a Pasquino che significassero le lettere "L.N." illuminate; Pasquino, riferendosi ai cambiamenti di regime in Francia, rispose: "Luna Nuova".
[38] ) « 6 novembre 1666 – Havendo il cardinale Homodei spiccato dal papa un Editto proibente che le donne di malavita non potessero entrare in S. Carlo al Corso, per causa dei chiassi e cadute molte nella pena, gli si fa pagare rigorosamente con applicarsi il denaro alla fabbrica di quella chiesa, pel il che si può mettere il motto « Fabricaverunt peccatrices ». (Archivio Segreto Vaticano Avvisi vol. 39)
[38bis] Sull’isolato dove sorge l’albergo Plaza, lungo via del Corso, da via delle Carrozze a via Condotti, preesistevano modeste case di epoca medievale ed un palazzetto di proprietà del conte Antonio Lozzano, di origine spagnola, che avvalendosi di una legge urbanistica in vigore aveva forzatamente acquistato le case confinanti accorpandole al suo palazzetto per arrivare, nel 1837, a realizzare, tra le due traverse del Corso, un palazzo unico, per mano dell’architetto Antonio Sarti (1797-1880). La legge, cui si fa riferimento è la Bolla di Sisto IV (Francesco Della Rovere – 1471-1484) “Et si de cunctarum civitatem”, del 1480, rinnovata e aggiornata da quella di Gregorio XIII (Ugo Boncompagni – 1572-1585), “Quae publicae utilia, et decora”, del 1574, ancora in vigore nel XIX secolo. Lo scopo della legge, tra l’altro, era quello di migliorare il decoro delle vie di Roma, concedendo “la facoltà di acquistare le case adiacenti in base allo stato di conservazione relativo ed alla effettiva occupazione degli edifici”. Il conte Antonio Lozzano che, nel 1826, aveva già acquisito gli edifici fino a via delle Carrozze, si apprestava ad incorporare quelli fino a via Condotti. Proprietario di uno di questi era Virgilio Fontana (1754-1830), canonico di S. Lucia della Tinta, il quale ricorse a papa Leone XII (Annibale Clemente della Genga – 1823-1829) in questi termini: “Beatissimo Padre, il Canonico Virgilio Fontana Or.e e suddito della Santità Vostra umilmente l'espone ché da sopra due secoli li suoi antenati possedevano una piccola casetta, e sito rustico contiguo sulla via, ora del Corso; che per renderla abitabile a loro stessi l'unirono insieme, e formarono una Casa, ora n° 132-133-134, di trè piani superiori, due botteghe con mezzanini, giustamente ornata per abitazione di Privati, come nell'assegnato (allegato) abbozza, e suo giardinetto interno” e ancora: “.li ricchi, con l'abuso di essa Bolla ànno di già distrutto quasi tutte le case dei poveri, e vanno a gran passo a distruggere quelle de privati cittadini”. Il conte Lozzani dovette comunque attendere il decesso del canonico nel 1830 per potere ridurre in sua proprietà tutto il fronte dell’isolato su via del Corso. I lavori terminarono nel 1837. L’architetto Antonio Sarti, incaricato dal conte Antonio Lozzano, progettò, sul fronte di via del Corso, un unico edificio che aveva: al piano terra la sede di una banca (la Lozzano e Lavaggi, nel 1841 e la Cerasi e C., nel 1855); nei due piani superiori abitava il conte Antonio Lozzano e altri personaggi di alto rango (il palazzo ospitò la rappresentanza degli Stati Uniti d’America fino al 1861). Nel 1861, dopo la morte del conte Antonio, gli eredi vendettero il palazzo ai signori Neiner e Bussoni, due fabbricanti di carrozze, i quali trasformarono il palazzo in albergo di lusso, sempre ad opera dell’architetto Antonio Sarti (1797-1880). I lavori, iniziati nel 1862, consistettero sostanzialmente in un ulteriore ampliamento e nella sopraelevazione di un piano e terminarono nel 1864. Nel 1902, la proprietà dell’albergo incaricò l’architetto Edgardo Negri (1861-1942) che provvide ad una rinnovata distribuzione interna, mentre all’esterno triplicò l’apertura dell’ingresso e applicò al prospetto una serie di lesene corinzie ed i balconi del primo piano , così come si possono vedere oggi. Durante la seconda guerra mondiale l’hotel fu occupato dai Tedeschi, poi dai Francesi.
[39] ) La casa è della seconda metà del XVII sec.
[40] Nella seconda metà del XVII secolo, un curiale versato nelle romane lettere, Vincenzo Leonio di Spoleto, adunava in casa sua, alcuni giovani letterati, per esercitarli in componimenti poetici di stile semplice e di nobili idee, in contrasto col vezzo del tempo, amante di ampollose metafore, di stravolti concetti e di lusso smodato di erudizione. La piccola brigata fu poi accolta nel dotto cenacolo che si adunava nei giardini del palazzo Riario alla Lungara, sotto gli auspici di Cristina di Svezia. Alla sua morte, nel 1689, le adunanze si tennero, di preferenza, nei solitari Prati di Castel Sant’Angelo. Fu qui che, dalla frase detta da Agostino M. Taia: “Egli mi sembra che noi li abbiamo oggi rinnovato l'Arcadia”, dopo un’audizione di versi pastorali di sapore virgiliano, che Arcadia diventò il titolo della nuova istituzione. Promotore della prima adunanza ufficiale della nuova Accademia, tenuta il 15 ottobre del 1690, nell'orto del convento di S. Pietro in Montorio, fu l'abate di Giovan Mario Crescimbene di Macerata. Ogni arcade assunse un nome pastorale, seguito dal titolo di una campagna arcadica e fu eletto, per un’Olimpiade, primo custode il Crescimbene. Il 20 maggio 1696 (scritte in puro latino imitante lo stile delle leggi romane delle XII tavole – Livio III, 34) furono in una solenne adunanza approvate le "leges Arcadum". "Serbatoio" fu detto il luogo dell’adunanze e “Bosco Parrasio” quello dove, all'aperto, erano recitati componimenti poetici. Diversi i luoghi di ritrovo: villa Paganica a S. Pietro in Montorio; Esquilino (giardino Ruspoli), giardini Riario alla Lungara; orti Farnesiani sul Palatino, palazzo Salviati, villa Giustiniani fuori porta del Popolo; nei giardini Ginnasi sull’Aventino. Questi luoghi servirono per le adunanze finché il re Giovanni V di Portogallo, arcade nel 1725, donò all’Arcadia un boschetto alle falde del Gianicolo. Una scissione si operò in seno all’Accademia, ed i secessionisti furono accolti ed aiutati, nel 1712, nella villa del nipote di Innocenzo XI, sulla via Flaminia, sotto il nome di Accademia dei Quirini prima, ed Arcadia Nuova poi. Nel 1714 l'Accademia Nuova passò al palazzo Pamphili a Piazza Navona e infine alla Longara al palazzo Corsini dove finì per isterilire e decadere. La vecchia Accademia continuò invece a fiorire, per quanto, circa la metà del XVIII secolo, avesse perduto lo scopo di reagire al secentismo, perdendo così quel carattere nazionale, che fin dal 1699 le aveva fatto creare otto colonie nelle principali città d'Italia. Diventata Accademia Letteraria Romana ebbe alti e bassi, così l’Alfieri (1749-1803) legge in Arcadia il Saul, prima della pubblicazione, Parini (1729-1799), che ebbe il nome pastorale di Zanella (1820-1888) e Goethe (1749-1832) s’ispirarono anch’essi all’Arcadia, il primo con un’ode, il secondo col Faust e l’Ifigenia. Gli Arcadi, dopo essersi adunati, per concessione di Leone XII, nella protomoteca Capitolina, si dettero convegno fino al 1864 in una sala situata al Lavatore del Papa, quindi in via Torre Argentina 24; palazzo Altems; e piazza San Carlo al Corso. Riformata nel 1925, oggi è intitolata a Arcadia - Accademia Letteraria Italiana.
[41] ) Raccolte latine del Petrarca del XVI sec., a Venezia e a Basilea: Hortis – Trieste 1874, ecc.)
[42] ) Orso Orsini (il discorso riassunto sul Gregorovius).
[43] ) Stefano Colonna
[44] ) Avvisi : Roma nel marzo 1774 fu « teneramente…. Protetta dall’arcade Emireno Alantino, al secolo principe don Luigi Gonzaga".
[45] ) Estratto da: Guida Metodica di Roma e suoi contorni di G. Melchiorri, Roma, 1868.
[46] ) Estratto da: Guida Metodica di Roma e suoi contorni di G. Melchiorri, Roma, 1868. Vedi "Vicolo di Gesù e Maria" (Campo Marzio).
[47] ) Il Marchese Giuseppe Rondinini grande amatore delle belle Arti, ha ridotto in miglior forma questo palazzo e lo aveva superbamente arricchito di marmi antichi e. di quadri de' più valenti pittori, i quali, insieme col palazzo, in oggi sono in litigio. Il vestibolo è sostenuto da 20 colonne, la maggior parte di granito; il cortile è ornato di bassorilievi, e d'iscrizioni antiche; e la bella scala, di busti, e statue. (Mario Vasi, Itinerario istruttivo di Roma – 1818).
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